
Berlin hat auf dem Schloßplatz eine neue Spielwiese
Finalmente il palazzo della repubblica è stato raso al suolo e per ora al suo posto hanno creato un prato...





Questa è una delle Cariatidi che sorreggevano la balconata subito dopo i bombardamenti e come è ridotta ora. Già ne avevo parlato, lo stato così deturpato di questa sala come lo vediamo ora, non è tanto dovuto alle distruzioni belliche, ma in quanto all'abbandono da parte delle autorità competenti, prima lasciandolo alle intemperie, poi nella negligenza totale.








Grazie alle foto di Hyperdanny posso constatare che pian piano, uno dei principali monumenti milanesi torna a farsi vedere. Speriamo nn attenda ancora troppo.

E così se prima “modernità” era parola magica per giustificare qualsiasi scempio, oggi “storia” e' il passe partout per bloccare qualsiasi iniziativa anche la più ragionevole.
Per loro l’Italia e' il Paese dove regna l’equilibrio e la bellezza. Che non può essere alterato con ipotesi avventate e tanto meno con nuove costruzioni . Come prova la vicenda dell’auditorium di Ravello affidato, grazie a una intuizione di Domenico De Masi, al brasiliano Oscar Niemeyer. Credo che poche vicende siano state tanto tormentate. E se la si e' potuta risolvere ciò e' stato dovuto solo a due fattori: la perseveranza di De Masi che ha smontato le accuse che venivano mosse alla costruzione e la scelta del progettista, unanimemente considerato uno dei maggiori a livello mondiale e per di più centenario e quindi abbastanza anziano da non incorrere nell’accusa di essere il frutto del fenomeno dello star system. 
Vi e' , infine, la strategia del “dov’era e com’era” . All’interno della quale annovererei la riedificazione del Teatro La Fenice a Venezia. Chi scrive non e' contrario, in linea di massima a questa modalità di intervento. Anzi, in certi casi, rifare fedelmente un edificio può essere utile. 

La seconda obiezione -che la densificazione crei caos e disordine- appare smentita dalle grandi realtà metropolitane. Manhattan, per esempio, e' una città densa ma molto meno caotica di Los Angeles o della periferia di Napoli. Bisogna cominciare a pensare anzi che gli standard urbanistici nati dalla Legge Ponte sono uno strumento utile ma antiquato che non tiene conto che il verde può stare in quota, i servizi pubblici all’interno degli edifici con altre destinazioni, i parcheggi pubblici sostituiti da quelli privati combinati con un buon trasporto pubblico su ferro. Siamo tutti d’accordo, poi, che il verde sia una risorsa preziosa. Ma si dovrebbe anche pensare che oggi non ha più senso teorizzare la separazione tra città e campagna. Stiamo andando infatti verso la città territorio dove costruito e non costruito convivono in modalità nuove. E ciò, come hanno dimostrato gli olandesi, non vuol dire certo un abbandono della coscienza ecologica. Ma solo la consapevolezza che il verde e' un materiale da costruzione, forse il più prezioso, ma come tanti altri.
Che il nuovo costruito sia invivibile - e siamo al quarto postulato- e' un preconcetto. Basta andare in giro per le migliori città europee che hanno realizzato in tempi recenti numerosi e qualificati interventi edilizi alla scala urbana quali Barcellona, Rotterdam, Londra, Parigi per rendersi conto che non e' vero. E poi occorre considerare che, di regola, i nuovi quartieri per funzionare al meglio hanno bisogno di trenta quaranta anni. Solo in tale lasso di tempo gli abitanti riescono, infatti, ad imporre agli spazi quegli aggiustamenti che li rendono umani e vitali. Detto tra parentesi, ciò vuol dire che i progetti aperti e flessibili si adattano meglio, mentre quelli rigidi– quali lo Zen a Palermo o il Corviale a Roma- danno una cattiva prova di sé, proprio a causa di quella che da alcuni critici e' considerata, invece, la prova dell’integrità formale e ideologica dell’opera.
Non capirlo vuol dire costringerci a vederla come il paese delle pizze, delle piazze, della pasta , dei mandolini e delle gondole. Una prospettiva che direi repellente ma che si legge oramai in trasparenza nella maggior parte dei nostri centri storici sempre più ingessati e mummificati. Si potrà sostenere che lo vogliono i turisti. Due risposte. Personalmente aborro l’idea di dover fare il centurione per attrarre a Roma visitatori. E poi, i dati dei flussi turistici mostrano che i paesi che stanno investendo in modernità ci stanno superando anche in questo settore. Segno che si preferisce un’ora di fila in meno in un museo attrezzato ed efficiente a una gita in gondola da cento euro dove, chissà perché, ti cantano anche O sole mio.